Quanto è bella la scena folk punk statunitense

Per chi ama sfatare e distruggere cliché è vivamente consigliata la lettura di questo breve articolo.

Ieri a notte fonda con un amico, tra fumo passivo e birra, cercavamo ostinatamente un video: ricordavamo i Days n Daze suonare come forsennati in mezzo alla folla – no palco;

Days N Daze & Rail Yard Ghosts - Self Destructive Anthem

con tutta probabilità si trovavano in uno squat o in una zona liberata, negli Usa. [Non sapevamo molto sul gruppo, solo che il loro concerto di due anni fa a El Paso di Torino era stato memorabile (avevamo avuto la fortuna di assistere a una delle ultime serate pre covid). In quattro senza batteria, in acustico, parevano un’orchestra irriverente e scatenavano poghi massicci].
La ricerca su youtube, vuoi anche per le nostre facoltà psicofisiche annebbiate, è degenerata e ci ha condotto altrove: Davey Dynamite – This Year Part 2 : non credevamo alle nostre orecchie: stupore, esaltazione.
Presi benissimo (finalmente avevamo scoperto un giovane artista degno di nota, lontano dal panorama trap e ultracommerciale), ci siamo addentrati nel canale collegato al video.

Davey Dynamite - This Year Part 2 - DIY Sessions


Punk with a camera ha aperto un mondo e ha distrutto (nuovamente) parte dell’immaginario collettivo che dipinge in modo netto gli Stati Uniti d’America come l’avamposto del patriottismo – capitalista. Era già capitato recentemente con la dichiarazione della Chaz di Seattle e coi movimenti Black Lives Matter e Defund the police. Grazie ad alcun* punk che girano il nordamerica, muniti di telecamera, abbiamo avuto riprova di un forte conflitto all’interno del Paese, di una resistenza all’ingessamento e al perbenismo della società dei consumi.
Negli Usa c’è un universo composto da furgoni e strumenti acustici, un movimento giovane e controcorrente, oppositivo a un contesto socio – culturale volto ciecamente al profitto e al progresso; sembra strizzare l’occhio al passato per creare un nuovo futuro. Si chiama Folk Punk, e al suo interno contiene molti sottogeneri.
Dal country alla cajun music, dal punk rock ai reel irlandesi fino a influenze gipsy e mediterranee, il substrato d’ispirazione musicale è variopinto, così come l’approccio estetico (guardare i video per credere).

Ciò che più ci ha colpito è stata la tensione verso un’indipendenza dalla tecnologia o dal cosiddetto ‘fighettume’ del mondo odierno. Spesso gli strumenti musicali sono acustici e autoprodotti – non necessitano di corrente elettrica, amplificatori o mixer, motivo per cui spesso i concerti si svolgono in strada, in modo orizzontale, e i suonatori diventano pubblico, scalzo e ribelle. È un buon modo per immaginare un mondo più umano , una buona opposizione allo scenario iper digitalizzato e privatizzante che si prospetta per i prossimi decenni.

Un subbuglio spontaneo, una subcultura nuova, erede dei Pogues, sta continuando un discorso iniziato molti anni fa, quando la musica significava emancipazione e rivolta. Per una notte siamo stati catapultati in un lungo live immaginario, un viaggio nel cemento americano insieme a punkabbestia e intellettuali ribelli e screamer, sbronze, violini, treni merci e lacrime.

In tempi bui per musica e cultura, qualche granello di gioia l’abbiamo raccolto.

M.m.

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